J. Huizinga, “Lo scempio del mondo. Ascesa e decadenza

delle civiltà, cristianesimo, militarismo e democrazia”,

Rizzoli editore, Milano – Roma, 1948

 Nel 1943, quando nel mondo risonava ancora l'eco infernale delle armi, il grande storico – nato nel 1872, morto nel 1945 – scriveva questo libro che doveva essere la sua ultima opera. Egli stesso era perseguitato e minacciato dal potere delle tenebre, perché il suo spirito era una potenza. Ma mentre intorno a lui tutti gli animi, agitati dalle passioni, dalla paura, dalla speranza, erano intenti a seguire l'andamento della lotta immane, egli pensava all'avvenire. Da tempo aveva indicato l'abisso che ora si era spalancato e minacciava d'ingoiare per sempre tutto ciò che ci è caro, ma il suo sguardo acuto e superiore alla mutevole fortuna dei potenti scrutava il caos per vedere se c'era ancora qualche pietra che potesse servire alla ricostruzione della dimora umana. Chi volesse accusarlo di pessimismo, sarebbe confutato già da questo atteggiamento dello scrittore. Egli fu, come disse, un ottimista. E questo ottimismo è di grande ausilio per noi, perché è fucinato e indurito al fuoco della preoccupazione: è l'ottimismo coraggioso del veggente che procede nonostante tutto, non lo smidollato ottimismo dell'ignorante.

Egli ci fa ripercorrere la strada che il suo spirito ha seguito: attraverso le macerie della nostra civiltà all'esame di ciò che può ancora servirci e che noi dobbiamo conservare a tutti i costi. E quantunque su questo percorso ci sembri talvolta che non si debba arrivare mai a uno sbocco, anche noi siamo portati passo passo ad aver fiducia nel risanamento della civiltà. Anche nel nostro cuore squilla l'appello dell'Autore: Ognuno crei in se stesso le premesse di questo risanamento!